Le tasse irlandesi di Google

Le tasse irlandesi di Google

I dati relativi al 2013 dipingono un margine risicato e spese fuori controllo. Ma è solo questione di come far tornare i conti, e dove mandare i profitti
I dati relativi al 2013 dipingono un margine risicato e spese fuori controllo. Ma è solo questione di come far tornare i conti, e dove mandare i profitti

Nel 2013 il fatturato della divisione europea di Google si aggira sui 17 miliardi di dollari, poco meno di 12 miliardi di euro : i profitti derivanti dal mercato pubblicitario (soprattutto) e dalle altre attività di Big G nel Vecchio Continente raggiungono un nuovo massimo storico, così come l’entità dei margini e delle tasse pagate da Mountain View. Rispettivamente 189,1 milioni e 27,7 milioni di euro, con oltre 10 milioni in più di tasse pagate rispetto al 2012. Un nuovo record, che tuttavia stride col totale del fatturato: ma niente di quanto fatto in Europa da Google è meno che legale.

Il merito di questa enorme sproporzione tra tasse e fatturato risiede nel modo in cui Google gestisce la contabilità : la stragrande maggioranza degli introiti finisce in “costi amministrativi”, ovvero costi che Google sostiene per coprire lo sfruttamento del logo e pagare royalty sulle tecnologie collegate al business che porta avanti. Il “trucco”, per altro già ampiamente conosciuto come “double irish”, risiede nel modo in cui viene gestita la contabilità: tutti gli introiti transitano dalle filiali locali alla divisione irlandese di Google , che poi provvede a girare i pagamenti alle società con sede alle Bermuda a cui fanno capo tutte le sue attività (le tasse locali sulle società sono tra le più basse del mondo ).

Non c’è niente di illegale in tutto questo: Google opera all’interno del mercato unico europeo, e dunque può tranquillamente vendere beni e servizi attraverso una sola ragione sociale di diritto irlandese. I soldi finiscono alle Bermuda , e lì restano: ci sarebbe modo di farli rientrare negli USA, e pagare le tasse, così come ha fatto eBay lo scorso anno. Per ora però non vi è alcuna indicazione sulle intenzioni di Google per il futuro.

Sulla questione da tempo si dibatte anche sul piano politico, in particolare in Italia, e ora è intervenuto persino Barack Obama : “Si tratta di approfittare di un regime fiscale tecnicamente legale, ma credo che molte persone direbbero che se fai affari qui sei semplicemente un’azienda statunitense. Stai semplicemente cambiando il tuo indirizzo per evitare di pagare le tasse, ma non stai facendo del bene al paese e ai cittadini americani”. Se è questo l’orientamento dell’amministrazione USA non si potrà fare altro che prenderne atto, ma questa faccenda non mancherà di gettare altra benzina sul fuoco di una polemica che al di qua dell’Atlantico non si è mai davvero sopita.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
28 lug 2014
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